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Mio figlio (mia figlia) arriva in studio: pronto al passaggio generazionale?

Mio figlio (mia figlia) arriva in studio: pronto al passaggio generazionale?

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Scritta la tesi, ricordo che la prima persona a cui la mostrai fu Riccardo, il mio migliore amico delle superiori. A lui mancavano due esami per finire Economia, ma la tesi l’aveva già pronta.

Quella sera festeggiammo, pizza e birra nel nostro pub preferito.

Eravamo galvanizzati, ci sentivamo liberi e potenti, perché convinti che da quel momento in poi avremmo potuto vedere i nostri sogni prender finalmente forma tra le nostre mani; ma ben presto l’entusiasmo si appannò – come la nostra vista, annebbiata dalle due (forse tre?) pinte – quando prendemmo coscienza del fatto che quella tesi, e l’imminente laurea di entrambi, avrebbe segnato ufficialmente il nostro passaggio nel mondo del lavoro, zeppo di ostacoli e responsabilità.

Una bella incognita, almeno per me, che mi «sono fatto da solo». Lui, invece, avrebbe iniziato a lavorare nell’azienda di suo padre.

Una fortuna? Mah, non è detto.

I primi 10 anni di Riccardo nell’azienda di famiglia sono stati tutt’altro che rosei.

I motivi? Tanti …soprattutto perché il padre di Riccardo si è affidato ad una artigianale gestione del passaggio generazionale. Suo malgrado probabilmente. Visto che una volta venuto a mancare, le cose in azienda hanno preso una piega diversa. Per Riccardo decisamente in potenziale miglioramento.

Tutta colpa dei CONFLITTI generazionali. E non mi riferisco solo a quelli naturali tra padre e figlio. Mi riferisco proprio a conflitto di visioni, idee, presupposti…e mercato.

Eppure, avvicendarsi anche in ambito aziendale può apparire “naturale”. Si, naturale come l’avvicendarsi delle stagioni; invece affrontare il ricambio generazionale è una faccenda piuttosto complessa.

Non a caso si stanno moltiplicando in Italia i corsi, master, libri e practice di consulenza dedicati a questo tema.

Un motivo su tutti? FAI CASO A QUANTE AZIENDE e attività di PROFESSIONISTI, tra cui gli odontoiatri, rientra nella casistica. Per darti un’idea dei numeri: l’85% delle aziende (anche PMI) italiane è a conduzione familiare.

Quante di queste coinvolte nel passaggio generazionale?

Una percentuale consistente.

Torniamo al punto però.

La questione del cambio generazionale è di fatto complessa.

Perciò il mio focus oggi va proprio nell’ambito delle attività di impresa odontoiatrica, che lambirà ambiti comuni a molte conduzioni di impresa.

Nelle fasi di cambio generazionale le persone che subentrano e quelle che lasciano si trovano spesso in fasi differenti del loro ciclo di vita con riferimento al successo e alla soddisfazione. Insieme alle diverse fasi di vita, c’è anche un mercato di riferimento che fa DECISAMENTE la differenza.

In cosa si traduce questa visione?

Iniziamo con il dire che visioni diverse portano necessariamente ad assumere atteggiamenti diversi nei confronti delle delicate fasi di un passaggio d’impresa e, quindi, rendere non agevole la presenza contemporanea di ambedue all’interno dell’organizzazione.

Prendiamo l’esempio del padre odontoiatra e del figlio o figlia laureati che entrano a far parte del ménage di studio di famiglia.

L’esempio più frequente è proprio quello che vede padre e figli in contrasto, dove il primo è quasi sempre refrattario alle innovazioni, i secondi orientati allo smantellamento del passato (il caso di Riccardo).

Oppure quello del dentista genitori, che pensa di affrontare il passaggio generazionale introducendo il figlio neolaureato nel proprio studio, affidandogli i suoi pazienti, così, dalla sera alla mattina!

Magari facendogli fare ancora un po’ di gavetta mettendolo accanto a sé per i casi più complessi, lasciandogli studiare il caso. Ancora e ancora. Ma niente mani in bocca se papà non vuole.

Se per qualche momento ti fermi, ti accorgerai che hai già lautamente pagato l’università di tuo figlio (o tua figlia) e che forse lui o lei non ha davvero più voglia di ricevere ulteriori insegnamenti, ma anela a realizzare teoria e pratica medica opportunamente apprese.

L’introduzione ai pazienti poi, passaggio più che delicato.

COSA FARE ALLORA?

Eccoti qui qualche tip utile.

Il passaggio d’impresa è fatto di rituali, deve essere progettato con largo anticipo e può richiedere un arco di tempo piuttosto ampio, affinché il subentrante possa sviluppare al meglio le caratteristiche necessarie a svolgere il suo ruolo.

È soprattutto nelle aziende di famiglia che emergono distorsioni nella definizione dei ruoli e delle funzioni ricoperte all’interno degli organigrammi aziendali, acuite dalla presenza di padri, madri e figli nei settori preminenti od a capo delle funzioni aziendali strategiche.

Il confine tra le dinamiche familiari e quelle puramente aziendali o di studio è puramente relativa. Davvero complesso riconoscerle e definirle.

Nel nuovo mercato odontoiatrico, oggi, saper gestire nel modo più corretto il momento della successione è fondamentale sia per assicurare la continuità e lo sviluppo dell’impresa stessa, sia per mantenere l’equilibrio e favorire la crescita.

È un processo da gestire e non un evento da subire. Il giusto approccio è attuare una sinergia generazionale, che dia il senso di una crescita delle nuove generazioni.

D’altronde le aziende familiari – e il tuo studio odontoiatrico non fa eccezione, ahimè in questo caso – si trovano di fronte a cambiamenti radicali: la rivoluzione digitale sta sconvolgendo modelli di produzione, rapporti con i clienti e gestione delle persone, e le nuove generazioni possono facilitare e spingere questo cambiamento, indispensabile per continuare a crescere.

Tu, amico dentista, sei in grado di gestire l’ingresso di tuo figlio all’interno della tua attività? Te lo sei domandato?

Esistono molti casi di successo, di imprenditori (ricorda che anche tu lo sei, perché il tuo studio è una azienda vera e propria) che consentono all’impresa di essere governata dai figli e quindi di camminare anche senza la loro guida.

Ma c’è anche una miriade di piccoli e medi imprenditori che difficilmente organizzano per tempo il turnover e quando lo fanno faticano ad abbandonare il comando, scegliendo il più delle volte una convivenza sterile, che inibisce le iniziative delle nuove generazioni.

E torniamo a te: riprendiamo l’esempio su esposto.

Tuo figlio ha studiato all’estero per apprendere tecniche e nozioni qui ancora sconosciute.

Tornato a casa avrà quasi sicuramente voglia – ed è plausibile, altrimenti a cosa sarebbe servito studiare in un altro paese? – di tradurle e metterle in pratica nella sua realtà.

Tu cosa deciderai di fare?

Cosa vincerà? La tua prassi o la condivisione verso la scoperta di un modello condiviso?

Lo ostacoli perché quel che dice è distante dalla tua esperienza?

O lo aiuterai a trasformare il suo know how in un’occasione di slancio per l’attività di studio?

A te la scelta…ma nel frattempo un consiglio tecnico per mantenere alto il valore del tuo studio:

·       Presentalo ai tuoi pazienti come  «esperto di…»;

·       accompagna entrambi (tuo figlio e i tuoi pazienti) nel processo di conoscenza reciproca;

·       continua ad essere presente per non interrompere il rapporto di fiducia che hanno con te.

Gradualmente, cominceranno a fidarsi di lui.

Allora potrai silenziosamente lasciargli il palco e ritirarti dietro le quinte, sapendo di aver fatto un buon lavoro. E tu avrai più tempo per te, confidando che il tuo studio e il tuo lavoro proseguono sulla scia di una visione comune.

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